Non siamo angeli | Resilienza e attivismo civico nella Firenze della grande alluvione

04 novembre 2016 | di Lorenzo Giudici

Per lavoro dovevo fare delle interviste ai fiorentini che hanno vissuto l’alluvione del 1966.

Dopo un paio di incontri ho pensato di portare con me una telecamera, per divertimento e perchè c’è stata una cosa che ha iniziato a sorprendermi, contro ogni mia aspettativa. Durante le interviste i fiorentini mi dicevano: “la storia degli angeli del fango l’è una truffa”.

Cosi giorno dopo giorno, domanda dopo domanda, ho scoperto un trascorso della nostra città che ci hanno raccontato molto poco.

Nei tragici giorni in cui arrivò la piena, le istituzioni cittadine non erano preparate all’emergenza, da Roma non arrivavano aiuti nè indicazioni e allora i fiorentini scesero in strada e fecero di testa loro.

I centri di soccorso si formarono spontaneamente, perché la gente si organizzò nei luoghi dove di solito si ritrovava nel quartiere, cioè le case del popolo, le parrocchie, l’Università, le camere del lavoro. Furono creati 12 Comitati di quartiere, per distribuire i viveri e gli altri beni di prima necessità, per stilare l’inventario dei danni subiti da ogni famiglia e consegnare le richieste di risarcimento al Comune, per sorvegliare sul corretto utilizzo dei fondi stanziati per l’emergenza e risolvere il problema abitativo, coordinando l’occupazione di centinaia di case sfitte da parte della popolazione che con l’alluvione aveva perso tutto.

Mi sono chiesto a lungo perchè da 30 anni, a scuola come in tv e sui giornali, mi hanno raccontato la ricostruzione di Firenze come se fosse stata tutta sulle spalle dei volontari venuti da tutto il mondo o dalle forze armate. E alla fine la risposta è semplice: l’autorganizzazione popolare non deve venire fuori. Invece in questa storia è la chiave per capire come sia stata possibile una reazione tanto efficace a un disastro tanto potente.

Oggi si tende a usare un modello di Protezione Civile che prende in carica totalmente il territorio, spogliando la popolazione di ogni iniziativa e mettendola come “in cura”.

La ricostruzione di Firenze invece mostra che il protagonismo popolare, le reti di relazioni sorte spontaneamente sul territorio, i rapporti di vicinato e la passione politica e civica sono la miglior forma possibile di protezione civile.